Samuel Bouchard è tra i fondatori di Robotiq, uno dei più importanti produttori al mondo di “end effector” per robot collaborativi.
Il suo lavoro lo ha portato letteralmente a toccare con mano migliaia di progetti di robotica collaborativa, trovandosi di fronte agli approcci più disparati, ciascuno con i suoi pregi e difetti. Nel corso degli anni ha maturato la consapevolezza che sebbene ogni progetto ha le sue specificità, grazie ad una metodologia standard si può effettivamente semplificare l’ingresso dei robot nelle fabbriche.
Da questa consapevolezza è nata la “Lean Robotics” (robotica snella), una vera e propria metodologia che, partendo dai principi della “Lean Manufacturing” (produzione snella), si addentra nella specificità della progettazione, integrazione e impiego di celle robotiche.
Per condividere la sua proposta Bouchard ha scritto un libro, “Lean Robotics, A Guide to Making Robots Work in Your Factory”: si tratta di un vero e proprio manuale operativo ricco di dettagli ed esempi.
La “Lean Robotics” parte da 4 principi cardine che, se ben compresi e rispettati, permettono di raggiungere al meglio gli obiettivi di progetto: scopriamoli insieme!
Per quanto questa affermazione possa sembrare scontata, Bouchard la propone aiutando a comprenderne alcune delle tante possibili chiavi di lettura.
La prima, sicuramente, è quella relativa alla sicurezza, su cui non ci sono e non ci possono essere mezzi termini:
Nella loro progettazione vanno effettuate tutte le opportune valutazioni di rischio e le diverse possibili fonti di rischio vanno mitigate fino a che non si raggiungono livelli ritenuti accettabili (nella duplice considerazione delle possibilità che accadano incidenti e delle possibili conseguenze attese).
Nel ragionare sul tema, Bouchard ci fa riflettere anche sull’impatto che può avere sulla sicurezza delle persone la scelta di automatizzare determinati processi, come ad esempio quelli ad alto rischio di incidenti o particolarmente logoranti.
L’attenzione per le persone non si ferma qui ma torna anche più avanti: lo vedremo a breve, nel contesto del terzo principio cardine.
Il secondo aspetto su cui si insiste nel contesto del primo principio è l’utilizzabilità dei robot da parte del maggior numero possibile di persone: potenzialmente, tutti.
Più persone possono utilizzare i robot e più se ne possono trarre benefici:
formare e coinvolgere più persone significa una maggior possibilità per l’azienda di ottenere riscontri di valore, in ottica di miglioramento continuo, ma anche l’attenzione ad evitare la creazione di colli di bottiglia o peggio, singoli punti di vulnerabilità (in inglese Single Point of Failure, SPoF).
Come vedremo a breve, questo aspetto tornerà in tutta la sua importanza nello sviluppo del quarto principio.
Nella “Lean Robotics” il focus è sempre il “cliente interno”, nello specifico la stazione successiva alla cella robotica nella sequenza di produzione, che deve ricevere i risultati della lavorazione:
Per ben inquadrare il valore che può essere messo in campo, bisogna differenziare tra
Tipicamente i primi sono da considerarsi a valore aggiunto, mentre i secondi no.
Nel progettare una cella robotica seguendo la metodologia della “Lean Robotics” si parte dall’obiettivo, che in questo caso è il valore creato per la stazione successiva.
Nel farlo, è importante semplificare, cercando di puntare alla cella robotica più semplice possibile in grado di portare un risultato di valore (in inglese si parla di “minimum viable robotic cell”).
I vantaggi di questo approccio sono duplici:
In primo luogo si evita di introdurre ritardi nella messa in opera o fattori di rischio che possono compromettere l’affidabilità della cella.
I ritardi nella messa in opera sono un fattore di particolare rilievo: considerando la variabilità dei processi, minore è il tempo dedicato alla progettazione, maggiori sono le chance di portare in produzione una cella robotica che può svolgere il suo compito più a lungo.
Questo aspetto va letto anche – e soprattutto – alla luce di un dato di fatto: spesso il processo di progettazione e implementazione di una cella robotica richiede più tempo di quello tipicamente anticipato.
Quali sono invece i fattori di rischio appena menzionati? Il riferimento va a tutto ciò che si aggiunge alla cella e che in qualche modo può rompersi o comunque allontanare dalla produzione di valore: nell’approccio snello si sente forte l’impronta anglosassone del “less is more” (letteralmente “meno è di più”).
Come sempre, è importante bilanciare l’ottimizzazione per il processo corrente con la flessibilità per le produzioni possibili e per trovare il giusto equilibrio l’attenzione deve sempre tornare sul valore creato: misurarlo è il primo passo verso un processo di miglioramento continuo che la lingua giapponese sintetizza nel termine “kaizen”.
In ogni processo produttivo ci sono dei possibili sprechi. La “Lean Manufacturing” li raggruppa in 3 grandi categorie:
Quest’ultima categoria, a sua volta, viene suddivisa in 8 sottotipi:
L’ottavo sottotipo assume un particolare rilievo nella “Lean Robotics”, che ancora una volta riporta l’attenzione sulla centralità delle persone.
Bouchard, nel proseguire la disamina di questo cardine, fa riflettere il lettore su uno spreco che rischia di essere particolarmente gravoso.
Tipicamente infatti, analizzando una cella robotica, ci si concentra sugli sprechi durante il ciclo produttivo, ma già ridurre il tempo che passa tra la progettazione e la messa in opera può fare molta differenza:
considerando la vita utile della cella robotica, un’eventuale ottimizzazione del ciclo produttivo in fase di progettazione che ha come contraltare un ritardo nell’avvio della produzione potrebbe rivelarsi una scelta che, invece di aumentare il valore complessivo, lo riduce.
Una fabbrica è in costante evoluzione: sviluppare competenze interne all’azienda nella progettazione e realizzazione di celle robotiche permette di valutare meglio il possibile impatto associato all’impiego delle stesse in determinate fasi del processo e quindi scegliere con più consapevolezza se procedere o meno.
Inoltre, le competenze interne:
Lo sviluppo di questo tipo di competenze è agevolato dai robot collaborativi di ultima generazione, che possono essere facilmente riprogrammati, permettendo una sempre più rapida verifica di eventuali ipotesi di lavoro.
I 4 principi cardine appena visti ci mettono sicuramente sulla buona strada, ma Bouchard si spinge oltre.
Nel suo libro fornisce una serie di esempi pratici e dettagliati di grande aiuto per chi si sta avvicinando alla “Lean Robotics”: quanto suggerito negli esempi rischia però di diventare sterile e anzi, in taluni casi controproducente, se i 4 principi cardine non vengono prima fatti propri da tutti i soggetti coinvolti nel processo di progettazione, implementazione e messa in opera di celle robotiche.
Di questi e di altri aspetti parla anche il nostro COO, Fabio Facchinetti, in questo video dove presenta anche alcuni casi pratici di applicazione della Lean Robotics e introduce alcuni suggerimenti sulla base della nostra esperienza pluriennale nell’impiego di celle robotiche collaborative.
Sapendo che in molte aziende le procedure a volte prendono il sopravvento e nel tempo non sempre è facile far sì che certe scelte metodologiche rimangano vive e condivise, tornare periodicamente su questi 4 principi, utilizzandoli come chiave di lettura di quanto fatto e quanto ancora da fare, può rivelarsi davvero utile.
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